13/11/13

Telegraph: Non incolpate la Germania per i guai dell'eurozona, incolpate l'euro.

In un articolo sul Telegraph, Jeremy Warner ci ricorda che non è il caso di lanciare accuse ora, ma di riconoscere che il sistema in sé era destinato a generare questo tipo di situazione.
Non c'è dubbio che alcuni ne abbiano approfittato, aggiungiamo noi, anche in spregio ai trattati...ma solo perché era il sistema stesso a permetterlo (e così adesso succede quanto riassunto magistralmente dal prof. Bagnai in un'epica slide...).
 
Per i tedeschi il target d'inflazione al 2% della BCE va bene
finché non implica che l'inflazione in Germania salga oltre il 2%.
di Jeremy Warner – 11 Nov 2013

Da un po' di tempo è diventato di moda dare la colpa alla Germania per i problemi dell'euro. Nel loro recente report semestrale, gli USA si sono spinti oltre, e hanno accusato la più grande economia d'Europa non solo di aggravare i guai del continente, ma di aggiungere una pressione deflazionistica sull'intera economia mondiale.


Gli atteggiamenti si sono fatti più duri quando è venuto fuori che i rappresentanti tedeschi alla BCE hanno guidato una rivolta degli Stati del nord contro il taglio dei tassi d'interesse della scorsa settimana, e hanno tentato di impedire molte altre cose ritenute necessarie per lenire le sofferenze della periferia dell'eurozona.

Perfino Olli Rehn, il responsabile economico della Commissione Europea, solitamente ultra-leale, assieme al suo direttore generale degli affari economici, Marco Buti, sembra si sia unito alle accuse alla Germania – in un certo senso.

In un nuovo blog, il signor Rehn dice che questa settimana potrebbe avviare una “approfondita revisione dell'economia tedesca”, usando una procedura dell'Unione Europa per esaminare gli squilibri macroeconomici nella regione.

Il signor Buti nel frattempo viene ripetutamente accusato a Berlino di tentare di scaricare tutte le colpe  sugli “abominevoli” tedeschi, sebbene sia difficile trovare una qualsiasi evidenza di ciò in quanto da lui detto pubblicamente. Nella misura in cui il signor Buti, un italiano, sia veramente colpevole di aver puntato il dito, egli presumibilmente limitava le sue critiche al consumo privato.


In ogni caso, accusare la Germania di bloccare la strada a un'Europa in fase di ripresa è un po' troppo comodo. Inoltre è una diagnosi sbagliata sulla natura del problema dell'Europa. Non è la Germania, tanto meno il suo successo economico – se davvero si può considerare la sua crescita, stimata quest'anno allo 0,5%, come un successo – che sta alla radice dei problemi. È l'euro.

Mi è stato impossibile individuare chi abbia usato per primo l'espressione “una taglia unica si adatta a tutte politiche monetarie”. Eddie George, ex-governatore della Banca d'Inghilterra, l'ha usata con riferimento alla moneta unica già alla fine degli anni '90, sebbene
probabilmente essa abbia  un'origine ancora anteriore.

Comunque il problema che si profila oggi è quello di sempre. Qualsiasi tentativo di stabilire un unico tasso di interesse per 17 stati politicamente e fiscalmente sovrani è quasi per definizione condannato in partenza. Una crisi perpetua è più o meno garantita.

È già abbastanza difficile stabilire una politica monetaria per una singola nazione, come la Gran Bretagna, gli USA e il Giappone nelle loro situazioni molto diverse stanno ora dimostrando.

Da quando
lo scorso luglio è diventato governatore della Banca d'Inghilterra, Mark Carney ha avuto come prima priorità di promuovere la domanda, rassicurando famiglie e imprese che i tassi d'interesse non sarebbero stati alzati prematuramente.

E sta già lottando per mantenere l'obiettivo, per quanto questo potrebbe essere considerato un segno di successo. La crescita sta superando ogni aspettativa, facendo così apparire un po' privo di senso l'impegno della banca centrale a non alzare i tassi d'interesse per almeno tre anni .

Ovviamente, tutti vorrebbero avere di questi problemi. Dal momento in cui è iniziata la crisi, più di cinque anni fa, la Banca d'Inghilterra è stata decisamente troppo ottimistica sia sulla crescita che sull'inflazione. L'una è stata una delusione al ribasso, l'altra al rialzo.

Ma ora si profila il problema contrario. La crescita ha cominciato a tornare, e la disoccupazione sta scendendo più rapidamente di quanto si pensasse.

Il rapporto sull'inflazione di questa settimana dovrà riconoscere questa realtà. Il signor Carney in agosto ha detto che la Banca d'Inghilterra non prenderà nemmeno in considerazione l'aumento dei tassi fino a che la disoccupazione non sarà scesa al 7%. Ora quel punto sembra destinato ad essere raggiunto prima di quanto si pensasse. È vero che anche l'inflazione sta scendendo più rapidamente del previsto, ma questo è quasi interamente dovuto alla rivalutazione della sterlina, che a sua volta è causata dalle aspettative al rialzo dei tassi d'interesse.


Tenere sotto controllo i tassi d'interesse si sta dimostrando una sfida. Le richieste di un rialzo sono in aumento, ma non potranno essere accolte almeno fino a che la disoccupazione non sia scesa sotto la soglia stabilita. I membri della Commissione per la Politica Monetaria si sono legati ad una sorta di vincolo di autoabnegazione. Le voci più prudenti della Commissione devono trattenere il falco che è in loro.

La strategia di Mr. Carney può o meno essere un errore, come lo possono essere le politiche monetarie ancor più espansive che vengono praticate sia negli USA che in Giappone. Però in tutti e tre i casi, quantomento, sappiamo che la banca centrale sta operando in un modo che ritiene proteggere al meglio gli interessi della propria nazione.

Con la BCE, questo non potrà mai avvenire. Per statuto, essa è tenuta a destreggiarsi tra le diverse priorità di 17 parti in movimento. La confusione che ne risulta non è né carne né pesce e fondamentalmente non è utile a nessuno.

I tedeschi credono che la politica monetaria sia gestita a vantaggio del
Club Med spendaccione [i paesi mediterranei, ndt], mentre la periferia pensa che sia gestita a vantaggio dei paesi economicamente dominanti del centro.

Nei primi anni dell'euro, la politica monetaria è stata piuttosto espansiva a sostegno di una Germania in difficoltà. Dal punto di vista tedesco, avrebbe probabilmente dovuto essere ancora più espansiva, ma già così com'era, era decisamente troppo accomodante per gran parte della periferia, dove ha contribuito a gonfiare bolle immobiliari, bancarie e dei consumi.

Oggi il problema è in qualche modo l'opposto. La Germania non ha un boom vero e proprio, ma la disoccupazione è straordinariamente bassa, c'è scarsità di lavoratori qualificati e i prezzi delle case crescono rapidamente, almeno per gli standard tedeschi.

Nel frattempo l'inflazione sta diventando negativa in una parte della periferia dell'eurozona. Ma per favore non chiamatela deflazione. No, nell'eurolinguaggio si chiama aggiustamento relativo dei prezzi, che nel tempo renderà questi paesi più competitivi.

Può essere, ma nel frattempo quello che fa è di ridurre la domanda e aumentare il peso dei debiti in essere. Questi paesi hanno bisogno di una crescita  del PIL nominale
accettabile, se vorranno mai poter ripagare i propri debiti, non di un aggiustamento relativo dei prezzi. Ora veniamo alla Germania, dove la proprità in una società che sta rapidamente invecchiando è tutta  orientata a risparmiare a spese dei consumi correnti. Le trattative sulla formazione di un nuovo governo hanno già concesso il salario minimo e maggiori investimenti pubblici. I tedeschi credono di stare facendo già più del dovuto per sostenere la domanda in Europa, e rigettano con forza l'idea di ulteriori azioni di politica economica o fiscale per la correzione degli squilibri.

Lo stesso vale per la politica monetaria. Per i tedeschi il target d'inflazione al 2% della BCE va bene finché non comporta che l'inflazione in Germania salga oltre il 2%. Il tasso d'inflazione alquanto maggiore che sarebbe necessario per permettere un'accettabile crescita del PIL nominale nella periferia dell'eurozona è visto come un sacrilegio dalla maggior parte dei tedeschi – e
per certi versi anche a ragione.

La Germania non è partita con l'intenzione di progettare un modello economico che impoverisca la maggior parte del resto dell'Europa. Sfortunatamente si è adattata all'euro, che impedisce quel naturale strumento del mercato che è la libera fluttuazione dei tassi di cambio e l'applicazione da parte di diverse nazioni di politiche monetarie basate sui propri interessi. La colpa non è dei gran lavoratori tedeschi, ma della follia della élite politica Europea.

9 commenti:

  1. Sostenere che uno stato che ha fatto del dumping la propria politica economica è quantomeno disonestà intellettuale. Imho

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  2. Grazie della traduzione, e' una buona sintesi della situazione, specialmente per quelli come me che sono infastiditi dalle accuse alla Germania (che ha fatto per se riforme relativamente piu' efficaci, questa non e' una colpa) da parte di persone che vivono in uno Stato allo sfascio come l'Italia, male amministrato e indifendibile.

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    1. che la Germania non debba essere la sola colpevole sono d'accordo, ma non la si può chiamare fuori perchè ha ripetutamente violato i trattati di Maastricht, gli stessi che i tedeschi sono molto puntuali nel voler far rispettare agli altri, e mi riferisco al tetto del 3% di deficit, al limite del 60% di debito/PIL (sono all'85%), al divieto di aiuti di stato alle imprese (Merkel è intervenuta in continuazione e in tutte le sedi a difendere OPEL dall'acquisizione da parte di FIAT e più recentemente per far una favore alla BMW sui limiti di emissione della CO2). Ha più volte aiutato i propri istituti di credito che sono pieni di titoli tossici (ne hanno in pancia più delle stesse banche americane che li hanno emessi).

      Per quanto riguarda le riforme, la Germania ha violato il trattato di Maastricht perchè non ha operato in modo armonico con gli altri partner ma ha invece voluto giocare d'anticipo applicando per prima il dumping salariale (perchè alla fine a questo sono servite le riforme del lavoro). Questa situazione l'ha portata infine a non rispettare il limite del 6% sul surplus di esportazioni. L'euro è lo strumento che ha consentito alla Germania di giocare sporco, molto sporco, con gli altri partner, arrivando addirittura ad influire sulla politica interna degli altri paesi membri.

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    2. g.b., naturalmente quello che dici è vero.
      Ma vedi, se ti chiudi in un ring con uno più grosso di te e ti fai pure colpire per primo, poi non puoi dargli la colpa.
      (O qualcuno pensava che l'euro servisse ad affratellarci?!)

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  3. Sono d'accordo nel giudizio sulla politica economica tedesca, che non ha rispettato il principio del coordinamento dei trattati e agito in maniera competitiva. Il mercantilismo tedesco (beggar thy neighbour) è inutile negarlo, è riconosciuto dagli stessi tedeschi e ammesso in studi e documenti ufficiali.
    Tuttavia, è inutile e dannoso prendersela con la Germania. Spetta a noi fare le nostre mosse, uscire dal vincolo, e fare finalmente i nostri interessi. Se non lo facciamo, è una enorme responsabilità e un tragico errore.

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    1. Sono d'accordo con l'osservazione: è necessario distinguere i piani di discussione. L'euro è stata l'occasione che ha reso la Germania "ladra" (lo dico solo per rendere riconoscibile il proverbio) perchè le regole del gioco alla base dell'euro sono che chi è più svelto vince. La colpa per l'Italia, ovvero per le sue elites, è stato quello di voler utilizzare lo strumento del vincolo esterno per regolare i conti in casa: le elites tedesche hanno fatto gli interessi loro, le elites italiane pure ma quelle tedesche sono state più brave. Il problema di fondo è che l'euro non favorisce comportamenti cooperativi ma invece rende indispensabile, ed è scritto nero su bianco sui trattati, la competitività tra paesi membri.

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  4. Secondo me questo Warner ha la moglie tedesca.

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  5. Un estratto chiarificatore

    Quando si è proceduto a un ingresso forzato nell'EUR, dopo aver completato la svendita di asset pubblici negli anni precedenti. Non un economista, ma anche un analfabeta sapeva che l'EUR era contrario all'Interesse dell'Italia e un'autentica sciagura, visto che ad abundantiam questo fior fiore della scienza economica già aveva avuto modo di sperimentare l'ECU in precedenza, e agio di far due conti, si suppone. E sapevano benissimo che l'Italia veniva pressata fortemente a entrare, ammettendo qualunque puffo contabile, altro che parametri, come poi si è visto. Non occorreva nemmeno fare sforzo di ingegno dato lo avevano dichiarato apertamente Francesi e Tedeschi che senza Italia l'EUR non si sarebbe nemmeno fatto, perchè nessuno certo voleva un competitore ed esportatore della nostra forza con una propria moneta e tutti sapevano che l'obiettivo era incatenarlo dentro una moneta insostenibile e nel frattempo annacquare il Marco, cioè svalutarlo tramite l'EUR, dando così un vantaggio enorme all'export Tedesco oltre che ammazzare il nostro. Dove stavano tutte queste menti illuminate? Forse non sapevano che in mancanza di possibilità di regolare con una propria valuta le ragioni di scambio, si sarebbe poi proceduto inevitabilmente a una svalutazione interna, con riduzione di salari, servizi, tagli ecc...Specie i nobili difensori delle "masse opevaie" dov'erano? Forse non sapevano che noi potevamo entrare , ma mantenendo la LIRA? (Clausola opting-out prevista da Maastricht) così come fece l'Inghilterra? Certo era censurata questa cosa dai giornali e Tv e perciò alla gente comune, ma loro, le menti, questi eterni paladini dei "deboli" la dovevano pur conoscere, o no? E a che servono se stanno sempre muti e colla schiena piegata?

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  6. Un altro





    I saldi della bilancia dei pagamenti sono impietosi dall'entrata nell'Euro e valgono 60 miliardi di dollari l'anno, e quelli futuri previsti dal fondo monetario internazionale lo stesso, quando prima si avevano saldi positivi per 40. Ma anche sul mercato interno la cosa è disastrosa, poiche una lira e un'economia con Potere d'aquisto interno analogo ma un nominale differente dai paesi forti consentiva protezione da invasione di beni di quei paesi. Quindi non solo chi esportava è stato colpito. La valuta serve a equilibrare le ragioni di scambio. Per qualche strano motivo una svalutazione è "cattiva" per noi ma non per il dollaro, e nemmeno per l'euro che all'esordio si svalutò del 35% prima di rivalutare.Oppure per la Germania che svaluta oggi al confronto del Marco che avrebbe.Viene poi raccontato che abbiamo goduto di tassi bassi con l'euro ed è vero, ma non era un problema di tassi il nostro, per le imprese, ma di quote di mercato, vendite, utili. E anche per il debito è una questione complessiva, se non tira economia cala gettito e il tasso più basso non è il massimo. Il beneficio dei tassi ha coinvolto poco il sistema produttivo, e più invece i non tradable goods, ovunque. Infatti si sono viste bolle immobiliari e finanziarie. Se non produci ricchezza e l'euro è una catena che lo impedisce, non c'è soluzione. Le stesse pretese riforme strutturali, quelle possibili almeno, hanno i primi effetti dopo anni e anni, e nel caso Italiano significano poi cambiare struttura produttiva e distributiva. Quando non si può svalutare esternamente si svaluta internamente, non c'è alternativa e questo sta avvenendo. Tagli e tasse, ma questa non è una ricetta perchè le condizioni di questi Paesi non sono adatte a una moneta forte e per l'Italia sono anche esiziali per una struttura di piccola media impresa come la nostra. L'effetto dei tagli e delle tasse è in termini di calo dei consumi e del PIL superiore al beneficio, stanti anche gli stabilizzatori automatici e considerato poi che ciò avviene in una condizione di debolezza modiale e di contrazione del credito. Infatti si vedono i saldi peggiorare, dopo le manovre, anzichè migliorare, e peggio ancora si vedono i dati economici peggiorare molto. L'unico errore che si nota in genere nelle analisi e nei commenti delle persone riguarda la convinzione che il Governo o chi per esso agisca autonomamente e soprattutto nell'interesse degli Italiani. Questo è un atto di fede assurdo. Già a suo tempo che l'entrata nell'EUR fosse una condanna e contro l'interesse Italiano non era un segreto. Tuttavia siamo entrati a forza.

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