30/04/13

La Storia del Nostro Tempo

Krugman sul New York Times fa un riassunto semplice ed efficace della crisi che stiamo vivendo.




Quelli di noi che hanno passato anni a litigare contro l'inopportuna austerità fiscale, nelle ultime due settimane se la sono passata bene. Studi accademici che erano portati a giustificazione dell'austerità hanno perso credibilità; i sostenitori della linea dura nella Commissione europea e altrove hanno ammorbidito la loro retorica. Il tono del dibattito è decisamente cambiato.

La mia sensazione, però, è che molti ancora non capiscono di che cosa veramente si tratti. Quindi, questo mi sembra un buon momento per offrire una sorta di ripasso sulla natura dei nostri problemi economici, e sul perché questo rimane un momento molto brutto per i tagli alla spesa.


Cominciamo con quella che è forse la cosa più importante da capire: il sistema economico non è come una famiglia.
Le famiglie guadagnano quello che possono, e spendono secondo un principio di prudenza; la spesa e le opportunità di guadagno sono due cose diverse. Per l'economia nel suo complesso, tuttavia, il reddito e la spesa sono interdipendenti: la mia spesa è il vostro reddito, e la vostra spesa è il mio reddito. Se entrambi tagliamo la spesa nello stesso tempo, anche i nostri redditi caleranno entrambi.

Ed è quello che è successo dopo la crisi finanziaria del 2008. Molte persone hanno improvvisamente tagliato la spesa, o perché hanno scelto di farlo o perché i loro creditori li hanno costretti a farlo; nello stesso tempo, molti non erano in grado o disposti a spendere di più. Il risultato è stato un crollo dei redditi che ha causato anche un crollo nell'occupazione, creando la depressione che persiste ancora oggi.

Perché la spesa è crollata? Soprattutto a causa dello scoppio della bolla immobiliare e di un sovraindebitamento del settore privato – ma, secondo me, la gente parla troppo di quello che è andato storto durante gli anni del boom e non abbastanza di ciò che dovremmo fare adesso. Perché per quanti eccessi ci siano stati nel passato, non c'è nessuna buona ragione per cui ora dobbiamo pagare con anni di disoccupazione di massa.

Quindi cosa possiamo fare per ridurre la disoccupazione? La risposta è che questo è il momento giusto per una spesa pubblica superiore al normale, che possa sostenere l'economia fino a quando il settore privato non sia di nuovo disposto a spendere. Il punto cruciale è che, nelle condizioni attuali, il governo non è, ripeto, non è, in concorrenza con il settore privato. La spesa pubblica non sottrarre risorse agli usi privati, ma impiega risorse in modo produttivo. L'indebitamento pubblico non spiazza gli investimenti privati; mobilita fondi che altrimenti sarebbero inutilizzati.

Ora, tanto per essere chiari, non è sempre e in tutte le circostanze il caso di aumentare la spesa pubblica e fare deficit di bilancio  - e la pretesa che le persone come me vogliono sempre maggiori deficit è assolutamente falsa. Perché l'economia non è sempre come in questa fase - in realtà, situazioni come quella che siamo vivendo sono piuttosto rare. Occupiamoci di ridurre i deficit e ridurre l'indebitamento del governo una volta che l'economia sia tornata in condizioni normali e sia fuori dalla depressione. Ma in questo momento abbiamo ancora a che fare con le conseguenze di una crisi finanziaria che coinvolge tre generazioni. Non è il tempo dell'austerità.

OK, vi ho appena raccontato una storia, ma perché dovreste credermi? Ci sono, dopo tutto, coloro che insistono sul fatto che il vero problema sta dal lato dell'offerta: che i lavoratori non hanno le competenze di cui avrebbero bisogno, o che l'assicurazione contro la disoccupazione ha distrutto l'incentivo al lavoro, o che la minaccia incombente di un'assistenza sanitaria universalistica sta disincentivando le assunzioni, o qualsiasi altra cosa. Come facciamo a sapere che hanno torto?

Beh, potrei continuare a lungo su questo argomento, ma basta guardare alle previsioni fatte dalle due parti di questo dibattito. Le persone come me hanno predetto fin dall'inizio che i deficit di bilancio di grandi dimensioni avrebbero avuto poco effetto sui tassi di interesse, che "stampare moneta" su larga scala da parte della Fed (non è una buona descrizione della politica attuale della Fed, ma non importa) non sarebbe risultato inflazionistico, che le politiche di austerità avrebbero portato a terribili crisi economiche. L'altra parte ci derideva, insistendo sul fatto che i tassi di interesse sarebbero saliti alle stelle e che l'austerità avrebbe effettivamente portato ad un'espansione dell'economia. Chiedete ai trader, o alle popolazioni che soffrono di Spagna, Portogallo e così via, che cosa è successo in realtà.

La storia è davvero così semplice, e sarebbe davvero così facile porre fine alla piaga della disoccupazione? Sì – ma la gente al potere non vuole crederci. Alcuni di loro sentono visceralmente che la sofferenza è un bene, che dobbiamo pagare un prezzo per i peccati del passato (anche se i peccatori di allora e i penalizzati di ora sono gruppi sociali molto diversi). Alcuni di loro vedono la crisi come un'opportunità per smantellare la rete di sicurezza sociale. E quasi tutti gli appartenenti all'élite politica prendono ispirazione da una minoranza di ricchi che in realtà non sta soffrendo molto.

Quel che è successo di nuovo, tuttavia, è che la linea dell'austerità ha perso la sua foglia di fico intellettuale, e risulta chiaramente quello che è sempre stata, l'espressione di un pregiudizio, di un opportunismo e di un interesse di classe. E forse, solo forse, questa esposizione improvvisa ci darà la possibilità di iniziare a fare qualcosa per la depressione in cui ci troviamo.



18 commenti:

  1. Krugman sta diventando simile a Barnard. Non lo ritengo un fatto negativo.

    RispondiElimina
  2. Mi piacerebbe che Francesco Carbone di Usemlab commentasse questo articolo!!

    RispondiElimina
  3. Molto interessante. Qui problemi e possibili soluzioni sono messi chiaramente a nudo.
    Anche le analisi delle conseguenze del dopo circa le scelte di austerità sono evidenziate in modo netto e chiaro.

    Resta da capire xke, salvo episodiche comparse televisive ad orari o trasmissioni "che più nicchia non si può" o della serie "esistono anche questi ma sono gente strana" , in Italia il dibattito su austerità, fiscal compact, indissolubilità moneta unica ecc, sia precluso ai più, e ancor più grave, del tutto assente fra le forze politiche se non in chiave banale (più Europa, spesa pubblica improduttiva, la locomotiva tedesca, vivere al di sopra delle proprie possibilità ecc..).

    Quello che fa impressione notare e' che a scrivere qui sopra e' Krugman sul Times, non Santoro si La7.

    Grazie x la vostra attività di divulgazione

    RispondiElimina
  4. E' un grande! Sembra ritenere anche che ci sia una speranza, ma mi sa che non parla dell'Italia...

    RispondiElimina
  5. ok Krugman ha capito i problemi lampanti della moneta unica....però lui è anche quello del "pompa che ti passa" come soluzione (vedi USA, Giappone etc..) quindi sulle soluzioni generali alla crisi, sebbene il nobel, avrei qualche riserbo....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Giusto, pompare liquidità in un quadro di invarianza delle attuali regole del gioco equivale a dare l'aspirina ad un malato grave.

      Posto che possa servire solo a prendere tempo, e in una certa misura ad aggravare la situazione e rimandare i problemi (+ liquidità, +depositi, salita corsi azionari, calo tassi, + consumi x effetto ricchezza, + consumi a debito x calo tassi interesse, calo "+ morbido" del settore immobiliare, ecc...) , il problema resta ed è': come ne usiamo senza conseguenze da guerra mondiale sui redditi e sui presidi di civiltà ottenuti con 100 anni di lotte e fatiche?

      Elimina
  6. Lasciamo perdere Carbone non ne ha imbroccata una inflazione in primis lui è la sua scuola austriaca

    RispondiElimina
  7. L'articolo è suggestivo.

    "Perché la spesa è crollata? Soprattutto a causa dello scoppio della bolla immobiliare e di un sovraindebitamento del settore privato"

    "Quindi cosa possiamo fare per ridurre la disoccupazione?" "... aumentare la spesa pubblica e fare deficit di bilancio" "... stampare moneta su larga scala parte della Fed"

    Sintetizzando, la ricetta Krugman è questa: in questa fase di recessione, l'indebitamento pubblico deve sostituire quello privato quale sostegno della domanda interna.

    I vantaggi sarebbero evidenti: a differenza dei privati, uno Stato con sovranità monetaria non può fallire. Inoltre, stante l'ampia capacità produttiva inutilizzata, la creazione di moneta non provocherebbe tensioni inflazionistiche.

    E' affascinante l'idea che disoccupazione ed indigenza possano essere combattute semplicemente liberandosi dai preconcetti che vincolano l'azione dello Stato.

    Si ritrova, in questa posizione, un'eco di quei principi di programmazione centralizzata dell'attività economica che erano al cuore di teorie politiche oggi innominabili.

    Tuttavia Krugman in questo scritto omette un'aspetto fondamentale.

    Il livello della spesa interna negli USA... l'occupazione... l'infazione .... non sono solo il risultato di una scelta discrezionale del Governo USA.

    Gli USA sono il primo debitorie a livello internazionale.

    Nel quarto trimestre 2012 il deficit della partite correnti USA è stato di 110 miliardi di dollari (il 2,8% del pil). Quello della bilancia commerciale di 128 miliardi.

    Se tutto quello che dice Krugman sta avvenendo è perchè il resto del mondo (meglio, quella parte che è in surplus) accetta (volente o nolente) di mantenere investito in dollari il proprio riparmio.

    Non serve dilungarsi sui benefici che il signoraggio del dollaro ha garantito storicamete agli USA.

    Più interessante sarebbe ragionare delle sue prospettive, delle strategie attuate dalle diverse aree valutarie per raggiungere un nuovo equilibrio dei redditi a livello mondiale e delle convenienze dell'Italia in questo scenario.

    Un cordiale saluto

    http://marionetteallariscossa.blogspot.it/

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma Emilio, non abbiamo bisogno di guardare agli USA per constatare che recessione e disoccupazione possano essere combattute con politiche fiscali espansive finanziate a deficit - ci basta guardare ai decenni keynesiani dell'Europa (non abbiate paura!!!). Poi, il fatto che il dollaro sia valuta di riserva mondiale dà e ha dato certamente agli USA uno spazio di manovra molto più ampio, ma non è questo determinante...

      Elimina
    2. Ti ringrazio per la risposta.

      Rimane qualche perplessità: se bastasse avere uno Stato che batte moneta e la utilizza per fornire ai propri cittadini il necessario potere d'acquisto, ci sarebbe meno povertà in giro per il mondo.

      Ipotizziamo pure che una tale manovra espansiva sia gestita senza innescare spirali inflazionistiche endogene. La sua efficacia e sostenibilità non possono prescindere dagli impatti sulla posizione esterna del paese: aumentare la domanda interna significa infatti aumentare i flussi di pagamenti in uscita verso l'estero.

      Qui gli scenari possono essere diversi: se il livello della spesa determina un deficit strutturale delle partite correnti (come per gli USA, ma anche come per l'Italia ante crisi), il cambio può rimanere stabile solo per la volonta (o necessità) dei paesi in surplus di finanziare il debitore.

      Differentemente dagli USA, se l'Italia uscisse dall'euro e attuasse la politica espansiva stile Krugman dovremmo aspettarci una svalutazione.

      Ti chiedo cortesemente se siano stati elaborati studi seri su questo possibile scenario (nuove parità della "lira", inflazione, Pil, occupazione, etc.).

      Grazie. Emilio L.

      Elimina
    3. Scusa, Emilio, non ti seguo. Ovviamente non basta avere uno Stato che batte moneta: se, per dire, il paese è già al pieno impiego, servirà a ben poco; ben diversa la situazione di un'economia depressa come quella attuale. Dici "ipotizziamo": ma non c'è niente da ipotizzare. La FED ha già triplicato la base monetaria senza che l'inflazione aumenti. E' ovvio che la posizione di asimmetria degli USA conferisce loro particolari privilegi, ma non capisco il discorso sulla svalutazione italiana: se l'Italia uscisse dall'euro, svaluterebbe subito, senza bisogno di manovre espansive, in conseguenza del differenziale di inflazione accumulato e la risposta è sì, dei conti sono stati fatti, per esempio da Sapir: http://russeurope.hypotheses.org/987 Un buon indicatore di come si metterebbero le cose per l'export, e quindi la crescita, in Italia è la condizione di Marshall-Lerner, qui analizzata: http://goofynomics.blogspot.it/2013/02/marshall-lerner-astenersi-piddini.html Non mi è chiaro però il discorso sulla manovra espansiva che provoca svalutazione: e il modello di Mundell-Fleming? In regime di perfetta libertà di circolazione dei capitali dovrebbe anzi accadere il contrario, fino al completo crowding out dell'espansione via riduzione delle esportazioni.

      Elimina
  8. @Anonimo30/apr/2013 22:04:00 su Francesco Carbone:
    A qual pro? La fede, come spiega qualunque prete di campagna, consiste nella volontà di credere. In questo caso in Von Mises e addirittura Rothbard.
    E dunque, contro la fede niente e nessuno può, finché perdura la volontà.
    Piuttosto, chiederei a Carbone, in un momento nel quale non avessi niente di meglio da fare, cosa pensa di Walras, sottoponendogli questo scritto per un suo commento:
    http://documentazione.altervista.org/walras_poincare.htm
    Fatelo voi, però, perché a me viene troppo da ridere ...

    RispondiElimina
  9. Non riesco a capire chi si arrovella sulla stabilità del cambio in caso di uscita dell'Italia dall'Euro. Posto che è proprio il valore della moneta non allineato ai fondamentali economici il caso dell'uscita italiana dall'euro mi sembra sia debitamente approfondito qui:

    http://goofynomics.blogspot.it/2013/02/marshall-lerner-astenersi-piddini.html

    dove si vede chiaramente che il rincaro delle materie prime a seguito di svalutazione non costituirebbe un problema, dato che l’aumento dei costi determinato dalla necessità di pagare di più il denaro estero verrebbe compensato dall’aumento di ricavi prodotto dall’incremento del volume delle esportazioni.

    LARS

    RispondiElimina
  10. Ringrazio per le letture suggerite in merito agli effetti della svalutazione della "lira".

    L'articolo di Sapir devo ancora leggerlo. Mentre quello di Bagnai avevo già avuto modo di apprezzarlo per contenuti e stile.

    Bagnai si focalizza sulla bilancia commerciale e pone la questione in questi termini: quanto devono essere elastiche esportazioni e importazioni affinché il movimento dei loro volumi compensi l’effetto negativo dato dall’aumento del valore delle importazioni?

    Per dimostrare che la svalutazione favorirebbe la nostra bilancia commerciale, Bagnai cita gli esiti di un'analisi svolta nel 2010 dalla Commissione Europea sull'elasticità delle esportazioni dei diversi paesi europei rispetto alla dinamica del real effective exchange rate (REER).

    http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/qr_euro_area/2010/qrea1_en.htm

    Questa analisi dimostrebbe che l'elasticità delle esportazioni italiane è ben superiore ad uno (1,72), per cui la crescita delle esportazioni a seguito di una svalutazione supererebbe senz'altro quella delle importazioni.

    Condivido di seguito alcuni caveat sugli esiti dell'analisi:

    1. L'analisi è basata sulla serie storica 1980-2008. Si tratta di un periodo ampio ma disomogeneo, considerata l'ascesa dei paesi asiatici nel commercio internazionale dalla fine degli anni Novanta.

    2. Il modello adottato si è rivelato statisticamente significativo solo per pochi paesi (e, tra questi, nel caso della Francia solo per i dati fino al 1999).

    3. Nel caso dell'Italia il coefficiente di correlazione R2 è pari al 48%, a testimonianza del ruolo giocato dai fattori non price e di specializzazione settoriale (altra evidenza di questo fatto si ha gurdando il Graph IV.2 pubblicato un paio di pagine prima).

    4. Il REER è stato stimato utilizzando i prezzi all'esportazione, in quanto REER measures other than export-price based measures were checked but did not produce plausible results ! In particolare, nel caso dell'Italia, la concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro ha comportato, nei settori tradizionali più esposti, una dinamica dei prezzi all'esportazione superiore a quella dei prezzi al consumo o del deflatore del Pil, a testimonianza dello sforzo di riposizionamento su fasce di prodotto premium.

    In generale, le altre analisi consultabili sul web in merito all'elasticità delle esportazioni italiane rispetto al fattore prezzo, evidenziano elasticità inferiori ad 1.


    Quanto precede non per confutare la possibilità che una svalutazione possa avvantaggiare la nostra bilancia commerciale, ma per condividere che si tratta di questione complessa che non dovrebbe essere affrontata con pregiudizio ideologico.

    Un cordiale saluto.
    Emilio L.

    RispondiElimina
  11. Caro Emilio, ti ringrazio delle utili osservazioni (anche se non capisco dove vedi pregiudizio ideologico, almeno nella mia risposta). Quanto ai tuoi caveat:
    1. l'analisi è basata su diverse serie. Se l'analisi contenuta nel Box IV.1, che è quella utilizzata da Bagnai, si riferisce al periodo da te indicato, quella impiegata nella Table IV.2 si riferisce invece al periodo 1999-2008: torno sui risultati della medesima alla fine;
    2. questo vorrei che me la spiegassi meglio. Il lavoro della commissione non ha ad oggetto una verifica del modello di Marshall-Lerner. Il modello è stato oggetto di uno studio di Hooper e altri nel 2000 "to estimate long-run elasticities for the G-7 countries. Their finding is that, with the exeption of France and Germany, price elasticities for exports and imports satisfy the Marshall-Lerner condition." (G. Gandolfo, International Finance and Open-Economy Macroeconomic, Springer, Berlin, 2002, pag. 86).
    3. purtroppo non ho le competenze matematiche che forse hai tu: sto cercando di rimediare, ma ci vorrà tempo. Noto però che la tua lettura dei risultati del Box IV.1 è esattamente opposta a quella dei redattori del rapporto: "The estimates show that Member States’ exports react very differently to changes in price competitiveness. On the one hand, Germany’s and Austria’s exports exhibit comparatively small price elasticity, meaning that in the long run price factors are comparatively less important for the competitiveness of German and Austrian exporters. On the other hand, Italy’s exports are very sensitive to the price charged by its exporters and cost-based factors are especially relevant for
    Italy’s competitiveness. The size of the differences in price elasticities is remarkable: a 1% deterioration in price competitiveness would reduce Italy’s exports in the long term by more than twice as much as Germany’s." Mi auguro non interpreterai quale sintomo di un pregiudizio ideologico la mia propensione a fidarmi, almeno in prima battuta, più di loro che di te.
    4. in attesa di indicazioni bibliografiche che sostanzino queste tue considerazioni, mi limito a riportare la chiosa dei redattori del rapporto all'andamento delle esportazioni nel periodo 1999-2008, fose più significativo se vogliamo parlare di euro: "The simulations show that foreign demand was the main driver of exports but price competitiveness was key for explaining differences in export performance across euro-area countries. The comparison between Germany and Italy is informative of the role played by price competitiveness. If Italy’s real exchange rates had evolved in a similar way to Germany’s since the beginning of 1999, Italy’s export growth would have almost matched that of Germany’s, while in
    reality it was less then one third its size."

    Ci stai dicendo che in Commissione hanno completamente sbagliato a interpretare i dati? O a raccoglierli? Sarebbe una notizia molto interessante: puoi dettagliarcene la dimostrazione?

    Un saluto cordiale a te,
    Arturo

    RispondiElimina
  12. Non era mia intenzione giudicare la tua persona ed il tuo intervento.

    Ho potuto verificare che lo stile di questo blog e dei suoi lettori è orientato alla condivisione di informazioni e punti di vista, in un ottica di confronto aperto e pacato.

    Tutt'altro rispetto a Bagnai, cui era indirizzato il mio riferimento al "pregiudizio ideologico" ...

    Il senso del mio commento non è quello di negare che l'elasticità delle esportazioni italiane al fattore prezzo sia "elevata" e maggiore a quella delle esportazioni di altri paesi come Germania ed Austria (questo è il vero risultato dell'analisi!). Ma quella di fornire elementi che fanno dubitare che l'elasticità "attuale" delle nostre esportazioni sia addirittura pari a 1,72 (il solo argomento utilizzato dall'economista Bagnai nel suo post per dimostrare il rispetto della condizione Marshall-Lerner).

    Ulteriore e più autorevole conferma che l'elasticità delle esportazioni italiane non possa essere pari 1,72 la offre lo stesso studio di Hooper (2000) da te citato, che stima l'elasticità di lungo periodo delle esportazioni italiane pari a 0,90 (su una serie storica ancora più datata: 1970-1998).

    A questo punto sarebbe interessante approfondire l'evoluzione dell'equazione Marshall-Lerner su dati più recenti (da fine anni Novanta in poi), maggiornamente rappresentativi del nuovo scenario mondiale.

    Un cordiale saluto.
    Emilio L.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Emilio, lasciando a voi la disquisizione sull'esatto grado di elasticità delle sportazioni italiane, sul quale non metto becco, mi limito a un'osservazione, di fondo:

      essendo che dall'unione dei numerosi puntini sin qui effettuata in questo ed in altri ben più importanti blog salta clamorosamente agli occhi il fatto che l'euro sia ben più che una moneta, bensì un metodo di governo -
      ebbene di fronte a questo distruttivo attacco, da parte dell'élite finanziaria che ci governa in Europa, al modello di stato democratico e sociale messo su nei decenni del secondo dopoguerra (perché di questo si tratta, ce ne rendiamo conto?) non mi preoccuperei ecessivamente dell'elasticità reale delle nostre esportazioni - o della rata del mutuo...

      senza negare con ciò che tutto questo dovrà essere senz'altro oggetto di studio accurato da parte di chi dovrà guidare il paese nel mare agitato dell'uscita, al fine di poter prendere tutte le misure necessarie.

      Elimina
    2. Scusa, Emilio, ma trovo il tuo commento su Bagnai un po' surreale. L'oggetto del suo post è prima di tutto il fatto che *la Commissione* - cioè il tempio dell'austerità, delle riforme strutturali e della real devaluation - attribuisce all'Italia un'elasticità rispetto al REER di 1,72 e racconti tranquillamente che se avessimo avuto un'evoluzione del cambio reale paragonabile a quella tedesca ne avremmo raggiunto i risultati. Ti risulta che su questo si sia aperto il benché minimo dibattito? Che poi potrà, anzi dovrà, tenere conto di tutte le sfumature, gli studi, le stime e quel che vuoi (certo il fatto che una serie più recente indichi un dato di elasticità più elevato di una più datata di certo non avvalora l'ipotesi che l'elasticità stessa in anni più recenti sia diminuita: se mai il contrario, direi; tantomeno mi riesce di capire come possa costituire conferma che oggi non può essere 1,72 ma passons); prima però dovrebbe iniziare. L'accusa di ideologismo rivolta a Bagnai la trovo quindi, come dire, un po' strabica. In ogni caso, se vuoi discutere della sua ricostruzione della condizione di Marhsall Lerner rispetto all'Italia, perché non ti rivolgi direttamente a lui? Mi parrebbe più logico. E ti assicuro che è sempre disponibilissimo a obiezioni tecniche.

      Elimina