16/03/11

Le Conseguenze Economiche delle Rivolte nel Mondo Arabo

Da Project Syndicate un'analisi di Nouriel Roubini, con qualche suggerimento di politica economica
di Nouriel Roubini
2011-03-14 

NEW YORK - L'instabilità politica in Medio Oriente ha potenti implicazioni economiche e finanziarie, soprattutto perché aumenta il rischio di stagflazione, una combinazione letale di rallentamento della crescita e di forte aumento dell'inflazione. In effetti, se emerge la stagflazione , c'è un serio rischio di una recessione double-dip per un'economia globale che sta a mala pena uscendo dalla peggiore crisi degli ultimi decenni.
Gravi disordini in Medio Oriente storicamente hanno sempre dato origine a picchi del prezzo del petrolio, che a loro volta hanno innescato tre delle ultime cinque recessioni globali. La guerra dello Yom Kippur nel 1973 ha causato un forte aumento dei prezzi del petrolio, portando alla stagflazione mondiale del 1974-1975. La rivoluzione iraniana del 1979 ha portato ad un simile aumento stagflazionistico dei prezzi del petrolio, culminato nella recessione del 1980-1981. E l'invasione irachena del Kuwait nell'agosto del 1990 ha portato a un'impennata dei prezzi del petrolio in un momento in cui negli Stati Uniti una crisi bancaria stava già riportando l'America in recessione.

I prezzi del petrolio hanno avuto un ruolo anche nella recente recessione globale causata dalla crisi finanziaria. Nell'estate del 2008, poco prima del collasso di Lehman Brothers, i prezzi del petrolio erano raddoppiati rispetto ai 12 mesi precedenti, raggiungendo un picco di 148 dollari al barile - e assestando il colpo di grazia a un'economia globale già fragile e colpita dagli shock finanziari.

Ancora non sappiamo se il disordine politico del Medio Oriente si diffonderà anche ad altri paesi. Le rivolte possono ancora essere contenute e recedere, facendo di nuovo scendere i prezzi del petrolio. Ma c'è una seria possibilità che le rivolte si diffondano, destabilizzando Bahrain, Algeria, Oman, Giordania, Yemen, e alla fine anche l'Arabia Saudita.

Anche prima dei recenti shocks politici in Medio Oriente, i prezzi del petrolio erano saliti sopra gli 80 - 90 dollari al barile, con un aumento guidato non solo dalle nuove economie emergenti assetate di energia, ma anche da fattori non fondamentali: una enorme massa di liquidità a caccia di assets e materie prime nei mercati emergenti, a causa dei tassi di interesse prossimi allo zero e del quantitative easing nelle economie avanzate; il “momentum” e il comportamento da gregge; e l'offerta di petrolio limitata e poco elastica. Se la minaccia di interruzioni nella fornitura si diffonde oltre la Libia, anche il semplice rischio di una minore produzione può aumentare nettamente il "premio paura" attraverso scorte di petrolio precauzionali da parte degli investitori e degli utenti finali.

Gli ultimi aumenti dei prezzi del petrolio - e gli aumenti dei prezzi delle altre materie prime, soprattutto alimentari - implicano diverse conseguenze negative (anche lasciando da parte il rischio di gravi guerre civili).

In primo luogo, la pressione inflazionistica crescerà nelle economie emergenti già surriscaldate, dove i prezzi del petrolio e degli alimenti rappresentano fino a due terzi del paniere dei consumi. Tenuto conto della debolezza della domanda nelle economie avanzate a crescita lenta, l'aumento dei prezzi delle materie prime qui potrà portare solo ad un primo modesto impatto sull'inflazione headline, e a un modesto impatto secondario sull'inflazione core. Ma i paesi avanzati non ne usciranno indenni.
Infatti, il secondo rischio posto dagli alti prezzi del petrolio – lo shock delle ragioni di scambio e del reddito disponibile per tutti gli importatori di energia e delle materie prime - colpirà in modo particolarmente duro le economie avanzate, che stanno a mala pena riemergendo dalla recessione con una ripresa anemica.

Il terzo rischio è che i prezzi del petrolio in aumento riducano la fiducia degli investitori ed aumentino l'avversione al rischio, portando a correzioni dei mercati azionari con effetti negativi sui consumi e sugli investimenti. La fiducia delle imprese e dei consumatori subirà un colpo, compromettendo ulteriormente la domanda.

Se i prezzi del petrolio aumentassero ancora - sui picchi del 2008 - le economie avanzate rallenterebbero nettamente; molte potrebbero addirittura ripiombare nella recessione. E, anche se i prezzi rimanessero ai livelli attuali per la maggior parte dell'anno, la crescita globale comunque rallenterà e l'inflazione salirà.

Quali risposte di politica economica abbiamo a disposizione per attenuare il rischio della stagflazione? Nel breve periodo, pochissime: l'Arabia Saudita - l'unico produttore Opec con capacità in eccesso – potrebbe aumentare la produzione, e gli Stati Uniti potrebbero usare la propria Riserva Strategica per aumentare l'offerta di petrolio.
Nel tempo - ma questo richiede anni - i consumatori potrebbero investire in fonti alternative di energia e ridurre la domanda di combustibili fossili attraverso delle carbon taxes e delle nuove tecnologie. Poiché l'energia e la sicurezza alimentare sono problemi di importanza economica ma anche di stabilità sociale e politica, dovrebbero essere fatte delle politiche che riducono la volatilità dei prezzi delle materie prime, nell'interesse di produttori e consumatori.
Ma il momento di agire è adesso. Il passaggio dalla autocrazia alla democrazia in Medio Oriente rischia di essere irregolare e instabile, nella migliore delle ipotesi. Nei paesi con una domanda repressa di maggiore reddito e benessere, il fervore democratico potrebbe portare a grandi deficit di bilancio, a rivendicazioni salariali eccessive, e alta inflazione, che si traduce alla fine in gravi crisi economiche.

Quindi per la regione dovrebbe essere progettato un audace programma di assistenza, sul modello del Piano Marshall in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, o del sostegno offerto all'Europa orientale dopo il crollo del muro di Berlino. Dovrebbero arrivare dei finanziamenti dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale, dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, nonché aiuti bilaterali forniti dagli Stati Uniti, l'Unione europea, la Cina e gli Stati del Golfo. L'obiettivo dovrebbe essere quello di stabilizzare le economie di questi paesi durante queste delicate transizioni politiche.
La posta in gioco è alta. Transizioni politiche instabili potrebbero portare ad alti livelli di disordine sociale, a violenza organizzata, e / o alla guerra civile, alimentando ulteriori turbolenze economiche e politiche. Data l'attuale sensibilità al rischio dei prezzi del petrolio, il problema non sarebbe limitato al Medio Oriente.

Nouriel Roubini è Presidente del Roubini Global Economics (www.roubini.com), professore alla Stern School of Business della New York University, e co-autore del libro Crisis Economics.


4 commenti:

  1. nouriel roubini ,,,,,,,,,,,,,,,è uno di loro,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,e dice solo cose ovvie stupide e false,e prive di interesse ,per chi sa le cose.il petrolio non cresce per quello che dice lui ma per quello che non dice ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,le banche stanno stampando soldi di carta dal 2000 con velocita crescente,,,,,,,,,,quella la causa.
    se cambia l'unità di misura carta o dinero,,,,,,,,cambia il risultato del costo del petrolio mi sembra ovvio.

    RispondiElimina
  2. "Anche prima dei recenti shocks politici in Medio Oriente, i prezzi del petrolio erano saliti sopra gli 80 - 90 dollari al barile, con un aumento guidato non solo dalle nuove economie emergenti assetate di energia, ma anche da fattori non fondamentali: una enorme massa di liquidità a caccia di assets e materie prime nei mercati emergenti, a causa dei tassi di interesse prossimi allo zero e del quantitative easing nelle economie avanzate"

    Mi sembra che lo dica, Roubini.

    Comunque parlando in generale non traduco questi articoli perché sono sempre e in tutto d'accordo con quello che dicono, ma perché a mio avviso, certi più, certi meno, offrono degli spunti interessanti.

    Se a te Roubini non interessa, non leggerlo.

    RispondiElimina
  3. Scusatemi ma, a parte il fatto che di queste rivoluzioni "colorate" mi sa tanto che siano un pochino state pilotate, ovvero cambiare tutto per non cambiare nulla.
    Il Sig. Roubini, eccelso economista, dovrebbe sapere che l'economia del petrolio, o meglio della moneta dollaro, è una invenzione americana per sostenere la propria economia. Ovvero far si che per acquistare dei beni, ed il petrolio è la massima eccellenza, occorra avere dollari, ergo tu non commerci se dollari non li hai. Anche se qualche nazione si sta svegliando in merito, con accordi per la sua sostituzione... vedi Iraq "ovviamente prima dell'intervento americano".
    Interessantissimo il commento sull'intervento del F.M.I. e delle banche per sostenere queste economie... NO GRAZIE --- ABBIAMO GIA' VISTO CHE COSA SONO STATE CAPACI DI FARE - ovvero hanno portato ulteriori crisi a favore dei soliti noti.
    Per non parlare del fatto che vi sono attualmente molti brevetti che permetterebbero di mettere in soffitta per sempre o, per lo E' interessante sottolineare che vi sono attualmente dei brevetti ITALIANI per la creazione di energia, per cui non dovremmo neppure pagare i diritti per il loro utilizzo, visto che sono statali.
    Saluti alla Sig.ra Carmen

    RispondiElimina
  4. Saluti all'anonimo delle 22:14.
    Il dollaro come moneta di scambio internazionale è destinato a tramontare. Gli USA dovranno pagare le loro import come tutti gli altri. Sto pubblicando un nuovo articolo su questo.
    Comunque il riferimento al Piano Marshall nel Medio Oriente non mi piaciuto nemmeno a me...con le bombe non gli riesce, ci provano con i dollari? Ma di questi tempi non è più così fattibile, credo.

    RispondiElimina